Imre Oravecz
L'uomo che pesca
Szajla
Frammenti per un romanzo
TRADUZIONE DI VERA GHENO
INTRODUZIONE DI VANNI SANTONI
Dopo il successo della raccolta di „poesie in prosa” Settembre 1972, Imre Oravecz viene riproposto in Italia, questa volta con alcune “prose in poesia” che costituiscono, anche, i frammenti di un romanzo, che è anche il sottotitolo del libro. L’ambiente è Szajla, il luogo di nascita del poeta, dove agli inizi degli anni duemila Oravecz è tornato a vivere. L’uomo che pesca contiene tutto ciò che è possibile narrare della vita dei contadini ungheresi negli anni '50 e '60. Ma vi è molto di più: l'intera vita di un villaggio - prima che fosse distrutta dalla collettivizzazione – nella quale ogni persona, ogni attività, ogni animale e ogni pianta aveva il suo posto, e tutto era collegato da una connessione profonda e organica.
All’uscita della prima edizione, nel 1998, il successo è immediato. Il grande scrittore ungherese, Péter Esterházy (Harmonia Caelestis, Feltrinelli), vergò queste parole: „Imre Oravecz ha scritto la sua grande opera. Ogni scrittore ha un libro che deve scrivere. Questo è il libro che fu predestinato per Oravecz. Non considererei un'esagerazione nessun parolone in questo momento. Capolavoro.” (Élet és Irodalom, 1998)
„Già allora, nei giorni della pubblicazione, ogni persona colta riconosceva che era stata creata un'opera epocale.” - Scrive Imre Dobri nella rivista Kortárs in occasione dell’uscita della terza edizione. - „Péter Esterházy iniziò la recensione dicendo non considererei un’esagerazione nessun parolone, e poi concluse con una parola: Capolavoro. Quindi che non lesiniamo sulle parole: La poesia di Imre Oravecz rappresenta una delle vette della letteratura ungherese.” (Kortárs, 2023)
In venticinque anni dalla prima edizione l’opinione della critica e dei lettori ungheresi non è cambiata: „L’uomo che pesca è una delle più grandi conquiste della nostra letteratura contemporanea, un degno ricordo di un mondo sommerso.” (Ákos GyÅ‘rffy, Mandiner, 2023)
Adesso, con la nostra edizione, anche i lettori italiani possono conoscere quest’opera epocale nella traduzione maestosa di Vera Gheno e con l’introduzione brillante di Vanni Santoni.
Imre Oravecz (1943, Szajla, Ungheria) è poeta, scrittore e traduttore. Nonostante le sue prime poesie fossero apparse nel 1962 nella prestigiosa rivista letteraria Alföld, ottenne la possibilità di pubblicare il primo libro soltanto nel 1972: “Scrivevo di cose completamente diverse rispetto a quelle di cui scrivevano gli altri scrittori e questo già in sé significava uno svantaggio. Inoltre, quello che scrivevo era contrario alle dottrine del socialismo reale, nel segno delle quali si poteva pubblicare.”
È uno dei più acclamati letterati ungheresi, stima comprovata da vari riconoscimenti, come il Premio Kossuth (2003), il Premio Prima (2015) e il Premio Aegon (2016).
Nel 2019 fu ospite del festival Pordenonelegge con il suo libro Settembre 1972 che, lo stesso anno, ha ottenuto il secondo posto sulla classica di qualità della rivista culturale Indiscreto.
VOLUMI DELLO STESSO AUTORE
RECENSIONI
E l'Ungheria sparì una mattina del 1956 di Demetrio Paolin
LA LETTURA, Corriere della Sera
​
L'introduzione di Vanni Santoni su Tuttolibri La Stampa
​
L'introduzione di Vanni Santoni su Le parole e le cose
​
Recensione di Giuseppe Rizza su NiedernGrasse
​
Recensione di Ákos GyÅ‘rffy su Internazionale
​
Recensione di Giovanni Leti su Lucialibri
​